Storie di sale, allume e musica

Storie di sale, allume e musica

Maggio 14, 2019 Daglio Fontanachiusa I muli e i mulattieri Il piffero, le danze e le buiasche Magioncalda 0

Fra gli epiteti con cui gli abitanti di ciascun paese venivano tradizionalmente presi in giro da quelli vicini, di Daglio si diceva che vi fosse stato sparso il sale sul terreno, implicando che non potesse crescervi nulla di buono. Ma al sale questo paese è stato legato anche in senso positivo. Luigi Aragone di Daglio (1893-1964) era noto come Luigi daa Sà, ossia appunto “del sale” (che è femminile nel dialetto ligure), in quanto gestiva in paese una rivendita di sali e tabacchi.

Lo smercio del prezioso condimento e conservante in un paese delle alte valli doveva essere connesso anche al suo trasporto, che notoriamente avveniva a dorso di mulo lungo la Via del Sale, la superstrada naturale che transitava sui soprastanti crinali fra il monte Antola, le Capanne di Carrega e le Capanne di Cosola. E’ facile immaginare che i mulattieri sostassero nei nostri paesi per far riposare animali e uomini, e in queste occasioni scambiassero notizie e pratiche con la popolazione locale.

Nell’alta val Borbera e nelle valli adiacenti si sviluppò così una vera e propria cultura di commerci e usi incentrati sulle merci e sulla cura degli animali necessari per il loro trasporto. Ai prodotti materiali si accompagnavano saperi, parole e gusti, tutti integrati in uno specifico modo di vivere. Infatti, lo stesso Luigi daa Sà nel tempo libero era anche suonatore di piffero, in séguito imitato da suo figlio Gino Manlio (1931-2006). In precedenza a Daglio era stato attivo anche un suonatore di cornamusa (a müza), probabilmente Giuseppe Borghello nato attorno al 1830, compagno di Pietro Asborno “Piejin er Sunou” di Magioncalda (1848-1912).

Anche gli usi musicali riflettevano la disponibilità di certe merci. Per il trasporto a dorso di mulo dei liquidi (vino padano e olio ligure) erano necessari degli otri, detti in dialetto pelli perché ottenute dalla scuoiatura di una capra.

La pelle della capra la tiravano giù a baga, vuol dire una destra e una sinistra. Bisogna prendere la prima zampa e l’altra poi farla scivolare fuori e la sinistra viene legata in fondo, la destra invece è spaccata per tirarla via e poi si lega insieme in fondo della pelle e poi davanti uguale. Poi si mettevano a conciare con due chili di sale per ogni pelle e stavano 60 giorni sotto sale, poi si arrotolavano bene dentro e si prendeva un bastone di legno di curnà, che è unlegno duro, e si faceva passare dentro e fuori il filo. Poi bisognava gonfiarle: quando sono pulite è niente, è che bisognava far venire fuori il pelo e metterci la bocca e aveva un sapore di capra e di sale. Anche le baghe delle muze le facevano così. Poi si mettevano a bagno nel fosso e battere battere, poi si lavavano con acqua e soda, si sciacquavano bene, si tiravano fuori e si appendevano e seccavano, e il sale brillava nella pelle. Comunque, il primo vino che mettevi non era mica tanto buono.

Giuseppe Renati Mazea, in “Chi nasce mulo bisogna che tira calci, Musa 2008”, p. 33, www.appennino4p/menussie
Sergio Crosetti

La stessa pelle veniva impiegata anche per realizzare l’otre delle cornamuse il cui suono era solito accompagnare quello del piffero: Sergio Crosetti di Carrega (ritratto qui in foto) ci ha raccontato che il suonatore di musa Angelo Bozzini “Müzetta” di Fontanachiusa all’occorrenza lo produceva da solo con una delle capre che allevava, attaccandovi poi le canne in legno pregiato che già possedeva, probabilmente avute da suonatori precedenti e bucate nelle proporzioni opportune per emettere la melodia (chanter) e la nota fissa di accompagnamento (bordone). Sembra che, in occasione di una rissa, Angelo abbia usato il suo bordone anche a mo’ di bastone!

La realizzazione di un otre a partire da una pelle animale richiede un processo di conciatura, che gli abitanti erano in grado di realizzare artigianalmente, senza ricorrere a tecnologie esterne.

Angelo Asborno

Angelo Asborno di Daglio (ritratto qui in foto) ricorda di aver voluto conciare personalmente una pelle di tasso per realizzare alcuni dettagli della bardatura di una sua cavalla. A questo fine, su indicazioni ricevute anni fa da un anziano di Moriassi, ha posto la pelle in un bagno di sale e ha utilizzato anche dell’allume di rocca, un prodotto derivato da un minerale di zolfo.

Simile doveva essere la procedura per realizzare otri o cornamuse. Non casualmente, anche l’allume di rocca poteva essere relativamente più facile da reperire qui che altrove, poiché nei secoli passati il suo prezioso monopolio era detenuto dalla repubblica di Genova: l’allume proveniente dalle miniere turche arrivava così al porto ligure e poteva essere smerciato verso la pianura Padana sempre attraverso i commerci lungo la Via del Sale.

Tracce come i soprannomi, i saperi artigianali e la presenza di strumenti musicali, se considerate le une in relazione alle altre, ci rimandano tutte a uno stesso mondo pieno di vita, relazioni umane, conoscenze e commerci, fiorito grazie all’intelligente adattamento alle specificità di questi luoghi.

P.S.: volendo incontrare il principale suonatore odierno nel territorio dell’Ecomuseo, in quale paese andreste a cercarlo?

Fabio Paveto (di Daglio) al piffero e Andrea Capezzuoli alla musa
Connio, 27/04/2019
in occasione dell’evento “Behind the Enemy Lines” (https://www.comune.carregaligure.al.it/ecomuseo/2019/04/24/matapuexi-piffero-e-musa/)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.